Intervista a Luigi Politano: giornalista, fondatore della Round Robin Editrice
- Interviste
- Dicembre 16, 2020
Il rapporto tra archivi e giornalismo d’inchiesta: abbiamo affrontato l’argomento con Luigi Politano, giornalista e autore, fondatore e direttore editoriale della Round Robin Editrice, che dal 2014 ha deciso di far rinascere la rinomata Libreria del Viaggiatore in via del Pellegrino, a Roma. Ha lavorato per Exit e Gli intoccabili, collaborato con Report, Current Tv, Red Tv, Nessuno Tv, ha scritto per numerose testate giornalistiche ed è stato vincitore del premio Giancarlo Siani nel 2010 e del premio Giornalisti del Mediterraneo nel 2016.
Quando è nato il tuo interesse per il giornalismo?
Probabilmente al liceo. Devo dire grazie a mio padre che pur non facendo il giornalista ha sempre amato l’approfondimento soprattutto della politica e dell’inchiesta.
La prima volta che ho immaginato di fare questo lavoro è stato vedendo il programma televisivo Sciuscià e prima ancora c’era Samarcanda. Sono stato sempre poi un amante dei libri che è una cosa che aiuta molto nella costruzione delle storie. Iniziai anche a scrivere sul giornalino della scuola.
Le prime esperienze vere le ho avute invece ai tempi dell’Università, collaborando con la televisione e per diverse testate giornalistiche online.
Quando e perché hai scelto il giornalismo di inchiesta come tuo ambito di specializzazione?
Per indole e per interesse personale, mi piaceva l’idea di raccontare il crimine organizzato. Mi sono sempre definito un cronista e ho sempre creduto che il giornalismo si fa per strada, conoscendo le persone.
Questa passione poi è diventata un lavoro e mi sono messo a fare il reporter collaborando con una trasmissione trasmessa sul canale Nessuno TV (sulla piattaforma Sky) che si chiamava proprio “Reporter”.
Anni prima aprimmo un giornale a Roma tre che si chiamava Rivist@ e iniziammo la nostra attività giornalistica, parliamo dei primi anni 2000. Era un giornale molto seguito, nel 2004-2005 faceva 10 mila contatti unici di media al giorno,, solo che nessuno di noi aveva velleità da imprenditori e quindi quella realtà finì.
In quegli anni un’attività del genere poteva avere un significato vero, parlavamo di notizie a 360°, è stata un grande palestra.
Sei anche un editore. I due mondi sono correlati per te? In che modo?
Sono correlati perché Round Robin è un editore che si occupa perlopiù di inchiesta giornalistica, nello specifico saggistica d’inchiesta. Tutte le persone che gravitano nell’orbita Round Robin poi sono tutti giornalisti.
L’utilizzo delle fonti nelle tue inchieste: quali sono e come vengono elaborate e/o verificate?
Considero fonte tutto ciò da cui si può derivare un informazione. Il passaggio che facciamo sempre con qualunque tipologia di pubblicazione è quella di analizzare e verificare la fonte per vedere da dove arriva, chi l’ha detta e soprattutto se è vera. Da un punto di vista personale perlopiù sono sempre dei contatti che pian piano maturano, possono essere organi inquirenti o testimonianze dirette.
Quando invece si tratta di notizie che coinvolgono società e persone o fatti che hanno una rilevanza anche di natura finanziaria, più che altro la verifica viene fatta attraverso le carte giudiziarie così quantomeno si parte da una verità giudiziaria. Il problema è sempre comprendere e capire cosa sia una notizia da diffondere e cosa una illazione o una considerazione priva di fondamento. Il giornalismo è una cosa seria.
Hai consultato degli archivi per le tue inchieste? Puoi raccontarci una tua esperienza in archivio?
Gli archivi che consulto io sono differenti da come li intendete voi. Sono soprattutto archivi che riguardano documenti o raccolta di dati e informazioni che servono per controllare e verificare alcuni dei casi su cui indaghiamo. Dagli archivi dei tribunali, al catasto, o la camera di commercio ciascuno per specifiche competenze. Anni fa, per esempio, mi sono occupato di alcuni affari immobiliari a Roma e sono partito proprio da questi tre luoghi appena citati.
Mi ricordo che per Report facemmo un’inchiesta sul San Raffaele di Milano, Vendola voleva aprire un ospedale oncologico a Taranto, un’iniziativa ben vista da tutta l’opinione pubblica e in linea di principio anche lodevole vista la situazione dei tumori in quella città. Il problema era che come sempre in Italia si affidava al privato la gestione di un’iniziativa che sarebbe stata pagata con il pubblico, e su quello iniziammo a indagare. Tra le carte trovate, mi sono reso conto che i terreni che avevano messo a disposizione per la costruzione erano frutto di una serie di accordi e passaggi molto interessante. Originariamente erano dei terreni dell’ex Iclis (ndr, Istituto case per lavoratori dell’industria siderurgica) che erano stati comprati da un gruppo di immobiliaristi pugliesi perché da lì a poco con l’ospedale (ndr, la cosa non andò in porto) si sarebbe costruito su tutta l’area. Nell’intera area di Paolo IV, di fronte l’Ilva, sarebbe potuta nascere un’altra città.
Siamo ormai da anni sommersi da ogni genere di informazione, trasmessa a velocità sempre crescenti. Per molti distinguere il vero dal falso è sempre più difficile. Qual’è il tuo punto di vista sul diffondersi delle cosiddette “fake news”?
Tutto il male possibile, anche perchè spesso sono situazioni borderline che possono creare anche problemi non da poco. Credo che ci sia una mancanza di attenzione non solo dei singoli ma anche da rappresentanti della politica e del mondo delle istituzioni.
Non si può limitare il diffondersi di notizie ma i social media dovrebbero rendersi conto che gli utenti vanno puniti in qualche modo. Twitter lo ha già fatto con Trump. Una maggiore attenzione da parte della politica poi sarebbe necessaria.
Nel tuo percorso professionale ti sei imbattuto nella “Libreria del Viaggiatore”. Abbiamo aderito alla campagna per “salvarla” (qui il nostro post, ndr). Ti definisci un libraio per caso; ma nella tua esperienza in libreria (anche se così particolare) ti sei potuto fare un’idea dell’importanza della lettura per le persone?
Diciamo che l’ha avvalorata la mia idea, ha acquisito ancora più consapevolezza, è un qualcosa che dovrebbe far parte del senso comune. Credo che una città che non ha librerie è una città vuota.
Secondo me le librerie per non scomparire avrebbero bisogno dell’aiuto delle istituzioni. Una libreria è un’impresa che non riesce a vivere da sola perché non fa né i fatturati né gli utili dell’impresa. È un esercizio commerciale a tutti gli effetti e come si può aiutare? Il comune di Roma ha migliaia di posti di proprietà anche vuoti che rappresentano un costo. La gestione di quei locali chiusi la paghiamo tutti perché va effettuata sempre una manutenzione. Pensa ad affidarla a delle librerie, biblioteche o a dei punti di raccolta e chi ci sta dentro con un accordo può pagare un minimo di affitto e il mantenimento di quel posto: quanti soldi si risparmierebbero. A Parigi questo già avviene con le librerie storiche, con il comune che stanzia dei fondi ogni anno.
Alcune librerie come la Libreria del Viaggiatore sono luoghi storici. Nel 2021 si riprenderà una campagna per riaprirla con una serie di eventi che riportino la libreria dentro le mura di un luogo, speriamo nel centro storico, a Roma, anche la Regione Lazio ha manifestato un enorme interesse prima del blocco causato dalla pandemia.
L’augurio è di riprendere quanto prima, con immutata energia e convinzione: anche noi di AB daremo il nostro sostegno!